Materia prima: intervista a Sergio Oricci
Intervista di Mattia Grigolo
Da qualche parte, non so di preciso dove, ho ancora addosso la ‘materia prima’ di Sergio
Oricci. Onestamente non mi va nemmeno di cercarla. La tengo lì.
Gli ho scritto, dicendogli che volevo preparare una Lasagna per lui.
SERGIO
Sergio è il mio nome ed è anche il nome del protagonista di Materia prima. Non è stata una scelta dettata da motivi particolarmente profondi o dalla volontà di usare una sorta di alter ego (anche se, soprattutto per motivi di comodità, ho usato alcuni dei luoghi in cui mi muovo o mi sono mosso nella vita); semplicemente, anche se il protagonista di questo libro doveva agire in modi che sarebbero stati percepiti come almeno controversi, non volevo che qualcuno potesse neanche provare a riconoscersi in lui (il lettore ha la tendenza a vedersi dappertutto in una sorta di delirio egotico). Mentre scrivevo, pensavo che dare il mio nome al personaggio potesse in qualche modo ostacolare questo meccanismo, che potesse proteggere Sergio da qualunque tentativo di intrusione o di appropriazione, che poi è forse il contrario di quello che qualcuno dice si debba fare quando si scrive.
TEMPO
Un’artista lituana che cito in apertura (in modo esplicito) e in chiusura (in modo implicito) di romanzo, Eglė Budvytytė, ha realizzato un’opera intitolata Songs from the compost: mutating bodies, imploding stars, che (insieme a Noi, di Alessandro Broggi) è stata la fonte di ispirazione da cui è partita l’idea per l’epilogo. In questa ultima parte del libro provo a mettere in pausa la frenesia del contemporaneo e a far muovere i personaggi in una dimensione temporale dilatata, i “milioni di anni di solitudine minerale” di cui parla appunto l’artista nella sua opera. Il tempo in letteratura è una possibilità del linguaggio, come tutto il
resto.
CORPI-CUSTODIE
Il corpo è una casa scomoda, e che diventa sempre più scomoda, in cui siamo costretti a vivere per tutta la nostra (brevissima) eternità. Messa così sembrerebbe una condanna e probabilmente lo è. Siamo attratti dai corpi degli altri perché non dobbiamo viverci dentro, se dovessimo farlo ne saremmo disgustati. Detto questo, non credo al corpo come a un contenitore di qualcos’altro, anche se ho appena detto che ci viviamo dentro. Nel romanzo scrivo che tutto è corpo. Quello che possiamo vedere e toccare è la sua superficie, quello che non possiamo vedere e toccare dev’essere da qualche parte sotto la superficie, ma sempre di corpo si tratta. Questo non significa che non ci siano manifestazioni energetiche che viaggiano su livelli diversi. Ma l’idea di qualcosa di trascendente racchiuso in ogni corpo, che ci definisce come individui al di là del visibile, non mi convince. Un’identità di questo tipo è un prodotto del pensiero occidentale; credo più nella dispersione di tutto, in un’identità collettiva in cui siamo immersi.
SILENZIO
È interessante come il silenzio possa avere una natura ambivalente; nella seconda parte di Materia prima, in alcuni degli inserti pseudo-saggistici, parlo di come il silenzio possa rappresentare il raggiungimento di uno stato di pace interiore o invece essere il sintomo di una patologia o la manifestazione delle conseguenze di un trauma. Ma d’altra parte il silenzio è anche la naturale meta di un percorso spirituale che potrebbe tendere a cancellare il rumore di fondo a cui siamo sottoposti costantemente. Oltre alle questioni concettuali e a quelle legate alle vicende, poi, c’era un motivo formale per cui mi interessava indagare il silenzio: la lingua di Sergio, prima della sua decisione di abbandonare la vita borghese in cui si sente costretto, ha una sintassi fondata su costruzioni ipotattiche e, dopo la fuga e durante il tentativo di tendere (almeno tendere) verso il prossimo passo evolutivo, anche la sua lingua cambia e si semplifica fino al mutismo, sempre prendendo per buona la possibilità che la massima semplificazione di un linguaggio sia la sua assenza e che il mutismo non possa invece rappresentare il massimo grado di complessità di una lingua. Comunque, dal punto di vista della costruzione dell’opera questo discorso mi ha permesso di lavorare su delle corrispondenze: non solo la corrispondenza tra la struttura delle singole frasi e quella del romanzo nel suo insieme, ma soprattutto la corrispondenza tra storia e scelte formali.
POST
Ci troviamo nell’epoca del post-post. Il postmoderno ha lasciato spazio al post- postmoderno, la postideologia nel suo diventare post-postideologia non è tornata a essere ideologia ma si è trasformata in qualcosa che delle ideologie ha i significanti ma non la corrispondenza con i loro significati. In generale, mi pare che Baudrillard avesse ragione quando diceva che non ha più neanche senso discutere di quale sia la differenza (o se ce ne sia una, o se ci sia una corrispondenza) tra significanti e significati, perché tutto quello che ci è rimasto è un significante che ha perso ogni aggancio con qualsiasi suo possibile referente. L’unico luogo in cui questa corrispondenza può esistere ancora è forse proprio la letteratura, anche se sono convinto che in letteratura non ci sia in effetti sempre bisogno di significati. Perfino il postumano citato nella quarta di copertina di Materia prima è superato, perché ci siamo già completamente dentro: da anni, direi almeno da un paio di decenni, siamo gli esoscheletri di noi stessi.
ROCCIA
Mi pare che il regno minerale sia a lungo rimasto sullo sfondo del discorso artistico e più nello specifico letterario, in cui invece di regno animale e regno vegetale si è sempre discusso molto. Ma negli ultimi anni si parla di rocce più spesso e in vari ambiti (arte contemporanea, cinema, letteratura). Credo in un sistema di relazioni tra noi e tutto quello che abita il pianeta, un sistema di relazioni che include anche il mondo minerale, e sono convinto che le rocce abbiano una loro forza vitale e un loro linguaggio. Si può imparare molto osservando una pietra e il modo in cui interagisce e si integra in modo pacifico (ma non sempre) con l’ambiente circostante. Nella terza parte di Materia prima, mentre una prima persona plurale attraversa il tempo e lo spazio, i confini tra gli individui sfumano fino a non essere più distinguibili e la stessa cosa succede ai confini tra i regni.
REVISIONE
Oggi ci sono troppe persone che si autoproclamano editor senza avere nessuna competenza in materia o che vengono messe a fare gli editor per motivi che non hanno niente a che fare con le competenze, e troppi editori che lavorano sulle cose che pubblicano non avendo ben chiara la differenza tra testo e libro. In quest’ultimo scenario, il risultato è un lavoro di editing e di revisione che mira solo ad avvicinare il romanzo (o la raccolta di racconti o quello che è) a un’idea di catalogo – con l’ansia di scovare ogni refuso e una tendenza alla semplificazione, ma senza la capacità di leggere una struttura o di capire una scelta linguistica su cui magari l’autore ha lavorato per mesi o perfino per anni – e che non rispetta l’integrità artistica dell’opera e neanche si chiede quale sia il concetto alla base dell’opera stessa. Fortunatamente in Transeuropa ho trovato un editore perfettamente in grado di capire la differenza tra libro e testo, e ne sono molto contento.
PRIMA (DELLA MATERIA)
Gian Francesco Giudice, un fisico italiano del CERN di Ginevra, in un’intervista dice: “Prima del Big Bang l’universo era uno spazio vuoto, buio e freddo, preda di una frenetica espansione. A un tratto, la struttura all’origine dell’energia del vuoto si è disgregata e in quell’istante tutta l’energia immagazzinata nel vuoto si è trasformata improvvisamente nella materia che, dopo un’evoluzione durata miliardi di anni, ha finito per formare le stelle, i pianeti, e infine la vita.”
Invece per quanto riguarda me, credo che esista un “prima” e un “dopo” Materia prima. Questo per me resterà un romanzo irripetibile, scritto con una totale libertà e in una sorta di stato di grazia (che non ha niente a che vedere con il fatto che il libro sia di valore o meno) in cui immagino sarà difficile trovarmi ancora in futuro.
Il Rifugio dell’Ircocervo, 6.02.25
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