Recensione a 20100 di Alex Roggero

Transeuropa Edizioni Recensione Recensione a 20100 di Alex Roggero

Una boccata d’aria, e che boccata finalmente! Tanti di quei libri di plastica in giro, uno spaccio legalizzato di serigrafie buone per corsi di scrittura, carta da macero con un tanto di plot twist ad hoc, la giusta dose di cattiveria verbale stemperata però da quel velo sottile di poetica suburbana che fa tanto midwest, perché le luci di San Siro son troppo provincia, ormai. Per fortuna mi capita tra le mani questo libro e ossigeno il cervello che aveva tutte le sinapsi occluse dalla roba tutta troppo uguale che esce da un po’ di tempo a questa parte. Non mi divertivo tanto da Belli dentro di Alvaro D’emilio, che ha un mucchio di punti di contatto – o se preferite di sutura –  con il nuovo lavoro di Roggero. L’autore, che un paio di anni fa esordiva con Non farlo per i tipi di Ortica, sembra essersi calato direttamente in un vecchio laboratorio di Canalini, emergendone come Obelix, invincibile nonostante tutto: nella sua scrittura c’è proprio l’esalazione torbida e mai sobria, da fondo di bottiglia, nel descrivere la vita dei ragazzi di cui ci parla. Paolo, l’io narrante, è uno scrittore che si barcamena  fra articoli per quotidiani ed e-commerce di bassa qualità; disilluso e disincantato affronta un’odissea contemporanea per cercare Alice, una ragazza apparsa su Tinder e svanita nel nulla per colpa di uno dei suoi amici, durante una bolsa serata come tante. Sarà questo folle girovagare per Milano coi suoi amici Martina, Ciro e Michele a restituirci il ritratto di una città bellissima e un po’ puttana, aperta a tutti e mai doma né realmente domabile. La protagonista della storia è infatti proprio lei, che già ancheggia proprio dal titolo, col codice postale che sembra un vecchio neon Cynar in Duomo. Lei, coi suoi locali, le sue band, i suoi vizi e i mille abiti che nel tempo le hanno costretto ad indossare: Roggero ce ne parla con una leggerezza solo apparente, facendoci incontrare squarci d’umanità tra le pieghe di miti – falsi e reali – come l’Esselunga di Ripamonti, il pollo di Giannasi, la Balera dell’Ortica. Il tutto mescendo con sapiente ironia il conflitto generazionale tra i ventenni di oggi – la cosiddetta generazione z –  e gli ormai vetusti millenials di cui Paolo e i suoi fanno irrimediabilmente parte. Il tutto con una scrittura tagliente e mai banale: c’è lo scontro coi vecchi della bocciofila, ad esempio, che è spassoso in modo micidiale; ha davvero il gusto amaro di certe notti che ti capita di vivere solo all’ombra del Pirellone (e lo sa il sottoscritto, che lì c’è nato e ci ha lasciato il cuore, anche se Milano non sa che farsene). Ma c’è un’indulgenza di fondo, nel raccontare di Roggero, che fa vibrare corde emotive insolite: consapevole che il passato non torna e che i ragazzi di domani saranno sempre peggiori, esattamente come lo eravamo noi, rifugge pietose nostalgie e celebra un omaggio alla precarietà, nella città in cui tutto ne sembra paradossalmente l’esaltazione. E allora forse è semplice sentirsi perduti, da giovani ancora di più, e cercare nei soliti clichè delle risposte che si sono dimenticati di darci – o magari siamo solo noi che non abbiamo mai fatto neanche una domanda – . È giusto quindi annegare in un PES in cui il Pocho Lavezzi è una chimera irraggiungibile, o farsi un ultimo giro di kerosene®, il peggiore degli intrugli alcolici: domani ci sveglieremo ancora, intontiti da un presente così vago da non averci senso ripigliarsi così presto. 

Vorremmo tutti essere un po’ Paolo, che in fondo non fa altro che azzannare una vita insapore, consendosela come può, fintanto che può: l’orizzonte gli appare meno cupo dei nostri pensieri, e Milano, in fondo in fondo, non ci sembra poi così male. Non è sempre meglio che fare finta di stare al gioco in questa spaventosa messinscena chiamata modernità?  

Vincenzo Trama, Il Foglio lettarario, 17.11.24

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