Articolo di Sonia Caporossi
C’è un umore prevalente in queste poesie di Edoardo Piazza tratte da Il fosso (Transeuropa 2023): si tratta di una sorta di malinconica consapevolezza che il passato di sicuro non ritorna, ma può vivere in un presente ricomposto strutturalmente dai suoi stessi simulacri. Ed è un umore atmosferico che trasuda, ironico e al contempo dolente, da una certa ariosità pasoliniana che si rende evidente nei continui riferimenti a Roma, luogo di nascita dell’autore che qui viene vista in modo particolare, non solo come dimensione del proprio vagare e perdersi, ma anche come agglomerato imperituro di borghi e sobborghi inesauribili nella loro vasta simbolicità. Si tratta della lezione di un Pasolini ultracontemporaneo, però, che rende esplicita la suggestione dei padri americani della poesia Beat la quale, attraverso il libero associazionismo e la fluenza incontrollata dell’ipermetro, traspare nella resa mai trasandata del dettaglio, nella tematizzazione dimensionale della quotidianità. Ed ecco che la descrizione dell’uomo qualunque emerge dalla scuola di maestri eterogenei, riuniti sinteticamente in uno. Si avverte, peraltro, il respiro coagulante del postmodernismo e la farcitura discorsiva del particolare, il tutto permeato da un citazionismo un po’ avantpop. Tutto questo e forse altro nei versi di un poeta, Edoardo Piazza, che ci dà prova di grande maturità stilistica proprio ponendosi come poeta dell’immediatezza esperienziale, in virtù del più marcato superamento della banalità pedissequa così tanto diffusa, oggigiorno, nel lirismo epigonale.
Osservatorio poetico, 24.02.25
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