“Sinfonia di un bosco in rivolta”, non solo ecologia ma vigorosa resistenza
Ad un primo sguardo, Sinfonia di un bosco in rivolta di Paola Massoni, edito da Transeuropa nel 2024, potrebbe sembrare un romanzo ambientalista destinato ad un pubblico di ragazzi; e, in effetti, non si può dire che non lo sia, ma ad una lettura più attenta emerge chiaramente che non è solo questo. Mi sono imbattuto casualmente in questa lettura ed è stata una felice scoperta: proverò a parlarne con semplicità come si addice al suo registro elegante ma diretto e lineare.
Sebbene la vicenda narrata verta sul coraggioso tentativo di salvare un emblematico bosco e i messaggi ecologisti non manchino, l’aggettivo “ecologico” viene stretto a questa fiaba contemporanea, e porterebbe al rischio di trascurare tutte le tematiche di fondo e gli aspetti che invece la rendono un’opera complessa, allegorica, punteggiata di richiami e significati che offrono diversi piani di lettura. Se da una parte, nel testo, si ha una disamina e una rappresentazione disincantata della società postmoderna, dall’altra emergono indizi di un percorso di formazione, crescita e anche di ricerca filosofica, spirituale e iniziatica ˗ tale da offrire esiti che rasentano, senza cadervi del tutto, la pura distopia.
Altro elemento da mettere in luce è la sua multimedialità:il romanzo, che fa della musica il suo elemento nevralgico, mezzo privilegiato attraverso cui gli umani e le altre creature del bosco comunicano e si comprendono, non si avvale dunque solo della parola: il concerto con cui si chiude la narrazione, oltre che immaginarlo lo si può ascoltare e addirittura vedere; l’autrice, che è musicista, ha composto infatti il poema sinfonico divenuto colonna sonora di un cortometraggio a cui si può accedere attraverso un QrCode interno al libro.
Tralasciando le picaresche avventure di Yuma, giovane arpista affetta da rara malattia genetica che si trova ad affrontarle,insieme al nonno falegname Albertino e alla maestra di musica Sibilla, nell’intento di salvaguardare il bosco della Cornacchiaia dalle mire profanatrici di alcuni potenti mossi da interessi di natura economica e di “selezione evolutiva”, ciò che colpisce è l’insieme dei fitti e pittoreschi personaggi, umani, animali e vegetali, che popolano l’anima verde di questo paese adagiato sulle colline toscane nel Comune di Borgotianta: luogo immaginario in cui si dipanano le tante avventure dell’allegra compagine. Il gatto Tiresia, l’anatra Iside, le Ninfe dei vari elementi naturali, l’asino Giordano, Celso Zenone, Archimede, Galileo, il coniglio Dante, la grande madre Alètheia, sono solo alcuni dei numerosi protagonisti di questa garbata fiaba in forma di parabola morale. Essi, non si può non notarlo, rimandano esplicitamente a grandi personaggi del mito, della filosofia, della scienza e della letteratura iniziatica. Ci sono poi anche dei ragazzi, come Sasha e Rospo, personaggi che, come Yuma, dovranno sostenere cimenti che hanno per ascendenza i percorsi d’iniziazione e ristabilimento degli equilibri, tipici appunto delle fiabe più antiche, e questo per compiere quella trasformazione cui sono chiamati dalla vita. In ognuno di loro chi legge può trovare una impronta di sé.
L’avventura di Yuma nel bosco diventa una discesa nelle viscere della Terra, un viaggio interiore, di conoscenza di sé, premessa fondamentale per riconoscere l’altro e agire fattivamente. L’agito e i colpi di scena sono alternati da icastiche e agresti descrizioni di questo meraviglioso mondo sotterraneo e da assemblee in cui si dialoga, ci si confronta, ci si informa, si riflette sulle motivazioni e su ciò che l’umana compagnia può fare per dispensare il pianeta dal terribile stato di cacofonia e carenza di armonia in cui versa; e il linguaggio fantastico, ricco, variegato, allegro e lene, procede per risonanze sostenute da un ritmo che è anch’esso musica.
Sì, la metafora musicale percorre tutto il testo, sia nel suo armonico dispiegarsi sostenuto da una plastica sintassi, che naturalmente nei contenuti: la riscontriamo nello scoiattolo Diapason, nel maestro di violino, nella scuola di musica che frequenta Yuma, nelle frequenze che distinguono gli esseri “armonici” dai “dissonanti cognitivi”, nella magica trasmigrazione delle note e così avanti in una carrellata di contesti e personaggi che compongono un affresco eterogeneo e generoso di connotazioni puntuali e animate da cadenze armoniose.
Interessante la divisione in brevi capitoli, tutti titolati come nella tradizione che rimanda alle novelle, ma che fin dall’incipit, richiama una delle storie più simboliche per eccellenza: Pinocchio. Molto in comune ha questo testo con la fiaba di Collodi, a partire dal fatto che l’arpa che suona Yuma l’ha costruita suo nonno ed è animata dallo spirito di una ninfa, Mèlia.
A proposito di tracce mnestiche letterarie, ce ne sono altre: i vari ministeri dai significativi acronimi e la “Tavola dell’Alleanza” ci proiettano nell’atmosfera orwelliana di 1984 e di Animal’s Farm, con riferimenti biblici, il campanello e gli indizi iniziatici al Flauto Magico di Mozart, mentre l’ambientazione dei rituali ai piedi di Alètheia cala in un maestoso teatro naturale non molto distante dal paesaggio dell’albero Casa del recente Avatar.
Cito solo alcuni capitoli per fare alcuni esempi concreti. Il capitolo Habeas Corpus, Habeas Mentem, Habeas Animam, in cui le piante espongono la Costituzione delle persone non umane, scritta insieme ad alcuni animali e umani armonici, e che ci porta a riflettere su condizioni di anomia o leggi inique, sulle discriminazioni, sulle atrocità che ha perpetrato l’uomo, con autocentrica, egotica, supposta superiorità, nei confronti di tutti gli altri esseri, oltre che dei suoi pari.
La lettera della Foresta del Volpaio è altrettanto potente e allegoricamente pregnante: è evidente che questo romanzo, come la mitica fenice, rappresenta una testimonianza di rinascita dalle ceneri dell’epoca 2020-2022, in cui i rapporti umani hanno subito un’indelebile atomizzazione e smarrimento di senso e prospettiva.
La rivolta del bosco, capitolo che dà il titolo alla fiaba, è percorso da una lingua generosa, straripante e da ritmo serrato: un’incredibile energia positiva, di rivalsa, di difesa, di sete di giustizia, uguaglianza e libertà sprona a non cedere di fronte alla sopraffazione.
Nei momenti più lirici la prosa lascia poi spazio alla poesia e il nonno Albertino, ben connotato antropologicamente come gli altri personaggi, ci consegna uno slancio percorso da vibrante commozione.
Il messaggio che attraversa tutto il romanzo, tra dinamismo, riflessione e leggerezza, è quello della necessità di cercare di comprendere l’altro, anche nel senso di metterlo al centro della propria sfera emotiva, cognitiva e progettante, percorrendo in tutti i modi possibili la via del dialogo in nome del rispetto reciproco e della necessità di una resistenza pacifica laddove vi siano prevaricazione e posture refrattarie al confronto, cosicché la musica diventa il veicolo che permette un rapporto dialettico e di scambio, di guadagnata consapevolezza e collettivizzazione dell’esperienza.
A questo si aggiungono come gangli irrinunciabili il senso di comunità, la famiglia, l’amicizia, i genitori, la figura della madre, fondamentale per lo snodo della storia di Yuma, i legami nonno-nipote e naturalmente l’amore universale per la Natura quale delubro sacro di vita e rigoglio. Tutti questi elementi (o istituzioni) sono sottratti a retaggi conservatori e retrivi, e trasvalutati alla luce della loro carica rivoluzionaria e di sfida ai dogmi e ai falsi precetti di un sistema disumanizzante e censorio nei confronti di una sorgiva spinta umana al cambiamento e alla catarsi.
Un romanzo perciò che può divertire i bambini (se accompagnati nella lettura da un adulto), suggerire molto agli adolescenti e incuriosire quegli adulti che, non estranei a un ricco retroterra, vogliano riscoprire il mondo con gli occhi del fanciullo che ancora è in loro.
«La natura ci ha dato la possibilità di scegliere: lasciare agli altri un segno armonico o
disarmonico, costruire o distruggere, vivere all’insegna dell’amore o dell’odio, oppure
intraprendere una terza via, la più pericolosa di tutte: quella di non scegliere affatto,
comportandoci con la più completa indifferenza. Noi qui la nostra scelta l’abbiamo fatta
e continueremo a difenderla, resistendo attivamente, anche con azioni di rivolta e a costo
della nostra stessa vita, a ogni tentativo di sopraffazione»
Articolo di Massimo Triolo
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