Recensione a Il sommo revival di Gabriele Galligani

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Edito da Transeuropa, «Il sommo revival. La società dello spettacolo nei romanzi di Pier Vittorio Tondelli» del bergamasco Gabriele Galligani è un breve saggio in cui viene riletta l’opera dello scrittore emiliano alla luce di alcune teorie critiche sulla società tardo-capitalistica.

In una delle sue interviste più note, l’ultima rilasciata prima di essere ammazzato, a una domanda sul possibile scandalo che avrebbe potuto seguire l’uscita del film «Salò o le 120 giornate di Sodoma», Pier Paolo Pasolini rispondeva: «Io penso che scandalizzare sia un diritto, essere scandalizzati un piacere, e chi rifiuta il piacere di essere scandalizzato è un moralista, il cosiddetto moralista». Tralasciando ogni considerazione sulla dissoluzione di qualsiasi traccia di anticonformismo e irriverenza verso il potere – dei costumi, della morale e della cultura borghese – cui la società italiana contemporanea si è ormai abituata, si può immaginare che quelle parole di Pasolini possano valere anche per Pier Vittorio Tondelli, giovane e controverso (per la morale dominante, appunto) autore in attività negli anni Ottanta, morto di AIDS nel 1991 a soli 36 anni.

Il libro d’esordio di Tondelli, «Altri libertini», nel 1980, anno della pubblicazione, aveva decisamente scandalizzato, per quei protagonisti che erano emarginati sociali, tossicomani, transessuali e omosessuali della provincia italiana, raccontati con un linguaggio autentico e senza fronzoli, fatto anche di turpiloqui. Il libro, a dispetto dei detrattori, ha vinto la sfida con il tempo, ed è in grado come pochi, ancora oggi, di restituire l’autenticità di un contesto culturale e sociale, delle sue “risonanze emotive”. Il libro si trasformò in un caso letterario per via del processo per oscenità e blasfemia e oltraggio alla morale a cui fu subito sottoposto l’autore, ne fu richiesto addirittura il sequestro. L’anno seguente Tondelli fu assolto, e il libro riprese a circolare liberamente.

Oggi Tondelli è uno scrittore di culto, ha pubblicato tutti i suoi romanzi negli anni Ottanta ed è considerato tra i più talentuosi e rappresentativi del postmodernismo letterario italiano: interprete della cosiddetta controcultura omosessuale, fu particolarmente sensibile nel registrare le “patologie” giovanili del suo tempo – i “gloriosi” e malefici anni del “riflusso nel privato”, del trionfo della merce, della pubblicità e delle TV private e del mondo dello spettacolo, dei centri commerciali e dei fast-food, del successo economico individuale come misura di rispettabilità, del rampantismo e della realizzazione personale come religione laica – e interpretarle all’interno dei suoi romanzi, nei suoi personaggi, con le loro insoddisfazioni e invincibili malinconie. Perché è soprattutto questo, sembrano dirci le sue storie, che genera la società tardo-capitalistica, nell’illusione delle infinite possibilità che offre: insoddisfazione, malinconia, una specie di magone esistenziale irrimediabile che spinge finanche all’emarginazione, all’abbandono, alla solitudine.

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Ne parla dettagliatamente Gabriele Galligani, insegnante e scrittore bergamasco – di cui ci eravamo già occupati su queste pagine – nel suo saggio «Il sommo revival. La società dello spettacolo nei romanzi di Pier Vittorio Tondelli», edito da Transeuropa , casa editrice con cui lo stesso Tondelli collaborò.

È una ricognizione di quattro romanzi e una raccolta di articoli pubblicati dallo scrittore emiliano tra il 1980 e il 1990 («Altri libertini», «Pao Pao», «Rimini», «Camere separate» e «Un weekend postmoderno. Cronache dagli anni Ottanta») che Galligani rilegge alla luce di alcune importanti teorie sociologiche e filosofiche sulla società dei consumi e dello spettacolo (si parla di Guy Debord, Jean Baudrillard, Mark Fisher, Byung-Chul Han e altri). Individuando l’influenza della cultura dello spettacolo nelle pieghe dei romanzi tondelliani, Galligani prova a rintracciare l’origine di quel magone esistenziale di cui Tondelli è interprete nei suoi scritti, e che è la tinta dominante della sua narrativa («scrittore del magone» lo definisce Marco Belpoliti in «Pianura»).

Tondelli riuscirebbe così a fornire una «resa narrativa» di alcune tra le più influenti teorie critiche postmoderniste, attraverso un diffuso riferimento, nelle vite dei suoi personaggi, a elementi della cultura nazional-popolare, alla dimensione mediatica e spettacolare, alla cultura di massa: cinematografica, televisiva, radiofonica. Una resa che ha dissodato il terreno a un intero filone letterario esploso negli anni Novanta – quello dei cosiddetti “cannibali” e della “pulp-fiction” – in cui si è normalizzato l’ingresso nel romanzo italiano di nuovi temi e topoi (il consumismo, i non-luoghi, la TV, il postumanesimo, le citazioni, eccetera) e di codici linguistici innovativi, alti e bassi insieme, gergali o sottoculturali.

Gabriele Galligani

La narrativa tondelliana si dimostra ancora in grado di parlare al presente proprio perché capace di «precorrere dinamiche concretizzatesi anche decenni dopo la sua morte, con l’evoluzione dei mezzi di comunicazione e dello spettacolo», scrive Galligani. Le storie che racconta parlano di avventure, scoperte, trasgressioni ed eccessi; «non sfociano mai in una piena soddisfazione o felicità», ma finiscono per dare corpo alla nostalgia, alla malinconia che accompagna la ricerca d’identità quando si nutre di modelli spettacolari da imitare, di simulacri effimeri a cui protendere.

Ci sono poi la difficoltà di vivere appieno l’esperienza amorosa e le relazioni, l’individualizzazione dell’esperienza – quella che prima era davanti la TV o con il walk-man, oggi è davanti allo smartphone – e la ricerca di un’emancipazione esistenziale che sembra impossibile. Anche per questo non possono che continuare a essere di estrema attualità. Il breve saggio di Galligani offre l’occasione di scoprire o ampliare la conoscenza di un grande scrittore italiano, nel suo essere una specie di “criptonite” per benpensanti, moralisti e conservatori. Uno di cui, insieme a Pierpaolo Pasolini, si sente una disperata e malinconica mancanza oggi. Ecco, quasi un magone.

Articolo di Mirco Roncoroni uscito su Eppen, inserto culturale dell?Eco di Bergamo.

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