Recensione a Il passaporto della cicogna bianca

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Non sapevo che la cicogna bianca fosse l’uccello con la maggiore apertura alare, ma questa sua capacità di lunghi voli la legittima ad avere un passaporto, che la porta in giro per il mondo in barba ai confini rasoterra.


Il passaporto delle cicogna bianca” è il nuovo libro di Carlo Maria Milazzo, appena edito da Transeuropa nella collana “studi e ricerche”.
L’autore è una firma nota ed apprezzata del nostro Omnis Magazine, che ha avuto il piacere di pubblicare in anteprima alcuni testi che arricchiscono il neonato volume. Ne trovate uno, con il solito stile inconfondibile, anche in questo numero.


La tesi di Milazzo, viaggiatore per passione, è che “il senso della vita è più affascinante se si sommano le tante concezioni dei mondi che si incontrano alle varie latitudini”. Così, come la cicogna bianca del titolo, egli spazia tra tutti i continenti, producendo “docu-racconti” che catturano per varie ragioni.

Prima di tutto, il “luogo” narrato: anche il più noto (Venezia per esempio) viene sempre descritto con un’angolazione personalissima. Venezia risalta accompagnata dal poeta russo Josip Brodskij, che riposa proprio nel cimitero lagunare sull’isolotto di San Michele; o come sfondo danzante e generativo della Malinconia di Albrecht Dürer; o come rilettura drammatizzata del San Giovanni decollato di Tiziano.


Ciò che colpisce, leggendo, è l’uso raffinato e scanzonato ad un tempo della lingua italiana e delle relative regole grammaticali, con le quali lo scrittore pare avere stipulato un privatissimo patto, che produce efficaci affreschi e consapevoli piroette. Se il lettore capisce, buon per lui! Altrimenti, come cantava, Giovanni Battista Marino, “vada alla striglia”. E che il lettore debba sottostare alle regole non comuni dettate autocraticamente dal demiurgo è confermato dall’insolita struttura del libro: privo di un indice con rinvio di pagine, esso giustappone i docu-racconti affidando a chi l’ha in mano il compito di orientarsi senza bussola. Perciò accade che cercando un testo ci si imbatta in un altro, magari anche più coinvolgente. Una procedura che – ai tempi dell’Intelligenza Artificiale e del Google perenne- l’autore potrebbe persino avere adottato per mantenere plastico il cervello dell’interlocutore!


Sicuramente Milazzo sa stupire con paragoni imprevedibili ed inattese descrizioni cromatiche. Come quella di Jamila, guida turistica dell’Errante sul suolo kirghiso; “Ha studiato bene l’italiano all’università di Bishkek e non è una badante di ritorno. Jamila ha corpo tondeggiante da matrioska/guance sferoidali rossastre come palline impiegate in un tennis al Roland Garros/capelli neri a mantellina di Zorro/occhi in cui ristagna amarezza/golf arancio tramonto” (da “Aquile e lune di Issik-Kol”, pag.204).  


Giudizi taglienti: “in Guatemala il tempo avanza alla velocità di un bradipo con il freno a mano tirato” (“La dea di santiago Atitlàn, pag. 70)


Scoperte inattese: “Dalle didascalie ad alcuni quadri mi sorprende che, in lingua maltese, Dio si pronunci Alla e Madonna si dica Sultana” (“La Valletta, genio e crimini di un Cavaliere”, pag. 223).


Modenese trapiantato a Bologna, Milazzo trova scorci e sguardi sorprendenti anche nella città adottiva, (“I matti di Emilia Levante”, pag.251), riportando alla memoria dei petroniani meno giovani personaggi un tempo stranoti, come “Settecappotti” e la “Fatina dei fiori”.
Lisa Bellocchi

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