Recensione “Murati vivi” di Roberto Addeo

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Nel romanzo “Murati vivi” di Roberto Addeo, il lockdown del 2020 è un fatto marginale, evocato nellle ultime pagine del libro. Eppure la sua ombra sinistra si proietta tanto sulla struttura della narrazione che sull’ identità dei personaggi. “C’è in questa palazzina di due piani un’energia nera che s’infila sotto la pelle di chi la abita, sembra che la morte vi abbia preso posto e con la sua mole non lasci spazio alla vita. Chi non soccombe continua a vivere con la fine scritta in faccia.” (p.231). L’arroccamento nei propri appartamenti, la diffidenza verso gli estranei, la violenza strisciante che nasce dall’insofferenza per chi sta a due passi da noi, ma dall’altra parte della parete, era un comandamento del nostro ‘modus vivendi’ già prima delle misure  restrittive imposte dalla gestione scriteriata della pandemia e Roberto Addeo ne descrive le conseguenze più terribili, in modo che il lockdown risulti una firma appena leggibile in un contratto capestro  già sancito dal diritto abitudinario.

 “Murati vivi” è abile a giocare con i generi: il noir, lo splatter, ‘l’amour fou’, il verismo, che  nella sua versione cannibalesca, ha la vocazione di descrivere le sacche degli emarginati, piuttosto che una classe operaia completamente integrata. Napoli, in un anagramma facilmente decifrabile, è diventata Polnia, una città dove la solidarietà è morta, il consumismo impera e ognuno si aggrappa disperatamente al proprio nucleo familiare e all’affetto problematico che scorre, con ingorghi di ogni tipo, dai suoi rubinetti domestici. In un condominio periferico vivono due coppie sposate: Attilio e Rosalba, autoctoni , e Linda, esponente della Polna-bene, che ha sposato Bogdan, rumeno, trafficante di droga, zingaro. Il fatto che il matrimonio di questi ultimi due sia stato benedetto dalla nascita di una bambina, Micaela, non fa che aumentare il risentimento dei vicini del piano di sotto, perché Rosalba desidera disperatamente, come forma di riscatto e àncora di salvezza della sua unione, un figlio che non vuole arrivare.

 Quello che mi convince e mi piace in questo romanzo materialista, è che la descrizione psicologica non si presta a studi sofisticati ed inutili, ma è come se si legasse immediatamente alle reazioni somatiche dei personaggi., che si imprimesse sulle contorsioni dei loro corpi, sulle loro tachicardie, sulle loro gambe molli, sugli sputi, sul vomito. In inglese, eufemisticamente , ma in termini per nulla migliorativi, il corpo viene indicato con l’espressione ‘flesh and bones’, carne e ossa.  In questo romanzo la carne e le ossa sono sempre portati al limite del danno, i personaggi, dalla prima all’ultima pagina ‘non stanno bene’, ma vivono la loro storia come assediati dal male fisico che accettano come conseguenza inevitabile del disordine e del delirio delle proprie esistenze. Non voglio raccontare la trama, ma sino dall’inizio si comprende che la maledizione della violenza scoppierà prima o poi con esiti raccapriccianti L’ossessione calpesterà i confini troppo labili del reale. Tra gli uomini e le donne di “Murati vivi” raschiano alle porte i topi dagli occhi rossi, richiamo di infestazione psichica, prima che reale,  e per loro, come per i cittadini di Polna, non si ha nessuna pietà.  

Addeo utilizza abilmente la tecnica della sospensione narrativa e fa procedere la storia attraverso i punti di vista alternati di tutti i protagonisti in una polifonia di testimonianze che vanno dalle pagine diaristiche, al flusso di coscienza, a un procedimento stilistico in cui si privilegia la seconda persona singolare, il tu. Ne nasce un impianto corale che deve il suo tributo al grande romanziere degli umiliati e offesi, Fëdor Dostoevskij, ma attraverso una correzione allucinatoria alla Burroughs. Il destino di questi emarginati, è legato a doppio nodo da un parte alla condizioni sociologiche del nostro tempo barattiere, dall’altro a una fatalità invincibile da tragedia greca. Bogdan, lo zingaro, descrive nella Disco Hell da lui frequentata i nuovi dannati che gli sfilano accanto: “Bogdan fissa quelli che tra non molto diventeranno i nuovi direttori di filiali bancarie e che porranno limiti su limiti alle richieste di trasferimento di mutui, proponendo l’estinzione dei vecchi per l’apertura di nuovi, comportando un’enormità di spese ai danni del disgraziato di turno. (…) E poi i nuovi senatori della Repubblica, quelli che medieranno tra Cosa Nostra  e cavalieri del lavoro divenuti Presidenti del Consiglio a forza di mazzette, fatture false, frodi fiscali, ricatti, vendette trasversali, e che dopo si appelleranno allo scudo parlamentare e quando gli verranno revocati i vitalizi si tireranno un colpo di Beretta DT11 in bocca. La futura crème de la crème che si riunisce in discoteca.”(pp.129-130) 

Ma Bogdan finirà i suoi giorni non per un colpo di pistola in fronte, ma nudo e assiderato, bussando alle porte di un bar sperduto nella campagna rumena. Prima che Atropo, l’inflessibile,  tagli il sottile filo della sua esistenza, lo zingaro fa in tempo a leggere: ”CHIUSI PER CONFINAMENTO”. Il destino è assurdo, come la Legge, come la sua declinazione farsesca e tragica riservata al popolo italiano attraverso i dpcm e i decreti governativi degli ultimi anni. Il romanzo di Roberto Addeo rende conto del fatto inoppugnabile che la distopia è stata inoculata senza remissione nella nostra realtà. Il cane non può più scrollarsi di dosso le pulci che lo stanno infestando. Il camorrista Diego Cesarano è diventato una creatura del Male atemporale dotato di ultra-poteri, un mostro affiliato a una setta, i Figli di Giove, che ha come unico scopo quello di calpestare ogni dignità e di soffocare ogni rigurgito di umanità. Sono i difensori di un ordine mondiale basato sui valori materiali imposti dal profitto. Pare che ci stiamo convincendo che le scelte di chi ci domina siano appunto imperscrutabili e inevitabili e che dal pianeta del potere, questi ricchissimi alieni,  possano manipolare il nostro futuro attraverso un’accelerazione  della “struggle for life”, se non addirittura andando ad incidere sul nostro codice genetico.

Una nota di merito alla bella copertina, grigia e senza immagini, con il titolo in alto a destra e sotto il nome dell’autore, che quasi non si legge.

Paolo Gera

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