Recensione a “Limpida a guardare” di Michela Silla

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Per ogni sole inerte
mi fingo linda e assorta;
senza fatiche sul petto,
né sparatorie di luce.

Limpida a guardare è la raccolta poetica di esordio, appena pubblicata da Transeuropa, di Michela Silla, un compatto racconto in forma di poesia che si interroga sulla relazione tra l’Autrice e l’Altro (o l’assenza dell’Altro) attraverso dei quasi-dialoghi con tre diversi tu, tutti maschili, che si disvelano progressivamente. Le tre figure non acquistano quasi mai fisicità, ma tendono invece verso l’astrazione e quindi a fondersi, talvolta senza lasciarci la possibilità di distinguerle tra loro. L’Altro prende la forma di un’unica figura maschile, quasi mitica, che riveste di volta in volta ruoli diversi.

Come già suggerisce il titolo della raccolta, la poesia di Michela Silla è chiara, trasparente, luminosa. Basta aprire il libro a caso e leggiamo di acqua, neve, specchi, albori, bianchi sogni, illuminazioni, ghiaccio, albe, foglie dorate, nuvole, vetri, cristalli e tanto sole. Non dobbiamo tuttavia aspettarci una poesia conciliante o consolatoria: il tema della relazione tra l’Io e l’Altro è arduo nell’incedere dei brevi versi, spesso asciutti, a tratti perentori. La luce che li pervade, che dovrebbe aiutare l’osservazione, non è sufficiente: il tentativo di trovare il senso dell’Altro dentro di sé, di capirlo e di portarlo alla luce non sempre ha esito positivo. La ricerca è impervia, l’oscurità ha più volte la meglio e la rivelazione non è scontata “Incompiuta,/mi dimentico”, “Sono rimasta:/persa”, “Pensieri-frecce/mi tradiscono”, “li perdo dagli occhi/i guizzi di vita”, “Cerco invano/i miei contorni”.

Scatti in avanti, verso il futuro, il sogno e l’occasione vengono bloccati dal peso del reale, dalla vita che schiaccia e che degrada anche i sentimenti più nobili mortificando la bellezza. I testi della raccolta possono quindi essere letti in modo ambivalente: facendosi avvolgere dalla loro luminosità, oppure specchiandosi nel buio che, per contrappasso, li avvolge. Non è un caso, per esempio, che la penultima e l’ultima poesia della raccolta siano in contrasto tra loro, confermando il senso di indeterminatezza percepito durante tutta la lettura. 

Ho capito che sei tu
e non devo fare niente
perché niente c’è da fare.

Opporsi
cambiare
temere
aspettare.

Niente,
niente.

Basta vivere.

Quel Basta vivere, la chiusa della penultima poesia, è un verso chiave che può essere interpretato in modi diametralmente opposti: che per comprendere e/o accettare l’Altro sia sufficiente restare vivi, oppure, in modo estremamente pessimistico, che si debba smettere di vivere. Inopinatamente, in entrambi i casi, l’Altro viene accettato. 

Lascia,
lasciati cadere.

Dobbiamo guardare
e perdere

ogni confine.

La poesia che dà il titolo al libro, Limpida a guardare, è posta a suggello del percorso di lettura. Michela Silla chiude mostrando un atteggiamento ottimistico verso il futuro che, tuttavia, contiene un’esitazione che crea anche qui ambiguità: Dobbiamo guardare/e perdere. Avrebbe potuto concludere così, in modo rassegnato, accettando la sconfitta, invece l’ultimo verso è un’affermazione di coraggio: dopo una pausa sottolineata da un rigo bianco arriva il ripensamento: ogni confine. Perdere ogni confine.

L’esercizio di introspezione ed estroversione dell’Autrice è riuscito, ma come nella migliore tradizione il viaggio non è concluso: dalla perdita dei confini si dovrà ripartire presto per una nuova esplorazione.

di Roberto Balò

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